Prima lezione di Poesia – Rilke

Prima lezione di Poesia – Rilke
radura sul sentiero di Ucka (Montemaggiore)

E’ un lento pomeriggio d’estate. Di quelli in cui non hai voglia di andare in spiaggia ma il rumore del mare ti insegue fin dentro a un bosco mentre tu, pigrona, vuoi solo esercitarti a rimanere immobile e mettere radici. Insetti tra l’erba, sopra la testa, tra le orecchie, si appostano sulla maglia, si arrampicano fin dietro alle ginocchia, solleticano i gomiti e il collo, sono il prezzo da pagare per un po’ d’ombra e di spazio vuoto attorno ai pensieri.

Era agosto da appena qualche ora, ma solo per convenzione. Come sempre, arriva un po’ in sordina. Il tempo in estate passa secondo criteri non oggettivi, senza calendario o orologio al polso. Ma il primo d’agosto arriva comunque, e si fa riconoscere ovunque io mi trovi nel mondo.

Non ho mai fatto molto caso ai miei compleanni, c’è chi dice che ho sempre avuto più anni di quanti ne risultino sulla carta, chi mi ritiene ferma e cristallizzata nei miei tredici anni, chi non crede a qualsiasi cifra io spari quando me la chiedono. Ma il tempo che passa, anche d’estate, anche in una radura in scogliera con le formiche tra i capelli, esige il suo tributo.

Allora inizio un nuovo taccuino e scelgo un messaggio. Penso alla me futura, che in chissà quale occasione, tra un anno, forse due, magari addirittura tra dieci, aprirà la prima pagina, e troverà un pensiero per lei da quel pomeriggio di grilli e di respriri di mare.

Opatija, 1 agosto 2017

“Bisognerebbe saper attendere e raccogliere, per una vita intera e possibilmente lunga, senso e dolcezza e poi, proprio alla fine, si potrebbero forse scrivere dieci righe valide.

Perché i versi non sono, come crede la gente, sentimenti (che si acquistano velocemente) sono esperienze.

Per scrivere un verso bisogna vedere molte città, uomini e cose, bisogna conoscere gli animali, bisogna capire il volo degli uccelli e comprednere il gesto con cui i piccoli fiori si schiudono al mattino.

Bisognerebbe saper ripensare a sentieri in regioni sconosciute, a incontri inaspettati e a congedi previsti da tempo.

A giorni dell’infanzia ancora indecifrati, ai genitori che eravamo costretti a ferire quando ci porgevano una gioia e non la comprendevamo (era una gioia per qualcun altro), a malattie infantili che cominciavano in modo così strano, con tante e profonde e gravi trasformazioni, a giorni in camere silenziose, raccolte, e a mattine sul mare, al mare soprattutto, ai mari, a notti di viaggio che passavano alte, rumoreggianti, e volavano assieme alle stelle. E non basta ancora poter pensare a tutto questo.

Bisogna avere ricordi di molte notti d’amore, nessuna uguale all’altra, di grida di partorienti e di lievi, bianche puerpere addormentate che si richiudono. Ma anche accanto ai moribondi bisogna essere stati, bisogna essere rimasti vicino ai morti nelle stanze con le finestre aperte e i rumori a folate.

E ancora avere ricordi non basta. Bisogna saperli dimenticare, quando sono troppi, e avere la grande pazienza di attendere che ritornino. Perché ricordi in sé ancora non sono. Solo quando divengono in noi sangue, sguardo e gesto, anonimi e non più distinguibili da noi stessi, solo allora può darsi che in una rarissima ora si levi dal loro centro

e sgorghi

la prima parola di un verso.”

R.M. Rilke

Un anno dopo, con una laurea, due traslochi, tre viaggi e quattro lavori in mezzo, ritrovo il taccuino in fondo a uno scatolone… e i grilli cantano e il mare respira.

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